cabaret prometeo
Dal Prometeo Incatenato di Eschilo
Con
Milena Bartolone, Orazio Berenato, Gabrielle Cacia, Elvira Ghirlanda, Stefania Pecora, Sergio Runci, Chiara Trimarchi
Adattamento e regia
Domenico Cucinotta
Assistente alla regia
Mariapia Rizzo
La “Rupe” è stata realizzata da Simone Di Blasi.
Cabaret Prometeo è lo spettacolo del Teatro dei Naviganti ispirato al Prometeo Incatenato di Eschilo
Il regista Domenico Cucinotta propone una lettura attualissima del mito, che oggi, alla luce della esperienza drammatica vissuta dall’umanità negli ultimi anni, si offre in una ulteriore pienezza.
Dinanzi al mito di Prometeo si è come di fronte ad un paesaggio dai contorni definiti. Ma più lo si osserva e più i confini svaniscono oltre il visibile.
L’avventura di questo gruppo di lavoro, che ha deciso di affrontare il mito di Prometeo attraverso la lettura eschilea, è difficile da riassumere, soprattutto per il limite stesso che a volte le parole hanno nel descrivere una grande esperienza.
Non è stata solo una messa in scena. Prometeo ci è apparso quando l’umanità si è trovata in ginocchio di fronte ad una pandemia. E’ evidente come il senso della nostra ricerca si sia amplificato oltre l’immaginabile e si sia sommato ad una già cocente urgenza di porre domande senza la presunzione di sapere.
Ecco dunque poche parole per riassumere l’umano che abbiamo messo in gioco per incontrare il mito.
Gli artisti impegnati in questo lavoro, ciascuno nel proprio ruolo- sulla scena o dietro le quinte- sono in primo luogo esseri umani : sono il “coro” di umanità che giunge innanzi a Prometeo: dubbioso, impaurito. Desiderosi di sapere dalla propria stessa origine cosa è che anima in noi uomini il bisogno di sfidare costantemente il divino e che li spinge a volersi sostituire ad esso; oltre il limite e la misura, oltre il timore della “necessità”.
Noi (l’umanità) siamo figli di Prometeo, colui che plasmò gli uomini, donò loro il fuoco e spense la visione della morte donando la salvifica speranza. Prometeo sfidò Zeus per mantenere in vita la specie umana. Per questo fu punito e incatenato ad una rupe: per aver donato agli uomini un privilegio degli dei. Trascorsi vari millenni, da questo leggendario avvenimento, in noi prometìdi sorge il chiedere: che ne è stato del dono e del privilegio? Che cosa ne abbiamo fatto? Il privilegio è divenuto vana superbia?
E’ senz’altro uno sforzo della fantasia immaginare Prometeo in un cabaret, nel suo cabaret, a intrattenere il pubblico con la sua vicenda. Eppure è ciò che è successo nella nostra lettura del mito. Ci è accaduto di sentire il bisogno di liberare il Titano dalle sue catene, o meglio, di permettergli di giocare con il suo incatenamento, per averlo più vicino, più umano, tanto da consentici di porre a lui direttamente, le domande che ci riguardano.
E’ un gioco, quello dell’esser “male incatenato”, che ci siamo concessi avendo innanzi a noi, non la fine dell’incatenamento, con l’inevitabile e conseguente punizione di Zeus, bensì la liberazione e la riconciliazione che Eschilo sancisce alla fine della sua trilogia.
Prometeo è accusato di superbia e per questo viene punito. Si inscena un processo: “Prometeo, sei superbo? Noi, siamo superbi?”.
E fino a quando ci accompagnerà il non voler rinunciare al male, ed essere quindi “accorti in ritardo”, come ci insegna Epimeteo (fratello di Prometeo)?