temporanea dimora
Ispirato a “Una specie di Alaska” di H. Pinter
Con
Orazio Bereato, Stafania Pecora, Chiara Trimarchi
Regia Stefania Pecora
Durante l’inverno del 1916/17 si diffuse in Europa, e poi nel resto del mondo, una malattia epidemica che si manifestava in forme quali: delirio, alterazioni psichiche, trance, coma, insonnia, ipercinesia, forme di parkinsonismo. Fu in seguito identificata e battezzata encephalitislethargica o malattia del sonno. in dieci anni cinque milioni di persone furono vittime del male. Di queste un terzo morì. Quanto a coloro che sopravvissero, alcuni guarirono completamente, altri conobbero la fase acuta della malattia:i più colpiti cadevano in singolari stati di “sonno”: consci di ciò che li circondava ma immobili, muti, privi di speranza e volontà. Cinquanta anni dopo, con lo sviluppo del farmaco L-dopa essi tornarono nuovamente in vita, risvegliandosi.
Temporanea dimora: potrebbe definirsi così il nostro passaggio su questa terra, il tempo che ci è dato e che viene scandito dal fluire della coscienza.
O potrebbe essere un luogo in cui ci rifuggiamo se non possiamo, o vogliamo, essere vigili e presenti. Un tempo di veglia come un tempo di sonno, a seconda dello specchio in cui si riflette la nostra realtà, un “qui” e contemporaneamente un “altrove”.
Ogni mattina in verità, andiamo incontro ad un risveglio immemore, in quei primi attimi in cui riemergiamo dalla notte e dai sogni. Ogni mattina, in verità, attraversiamo un limbo dal quale la realtà riaffiora a tratti, restituendoci i contorni del nostro presente e della nostra vita quotidiana.
Ma cosa accadrebbe se dall’ultima notte in cui abbiamo posato confidenti la testa sul cuscino fossero passati ventinove anni? Come vivremmo il ridisegnarsi dei contorni di ciò che è accaduto mentre noi riposavamo in un sonno freddo, senza che né noi né nessun altro possa dire che quel sonno fosse privo di sogni? Cosa ci parrebbe della vita? Di quella degli altri? Della nostra? Cosa ce ne faremmo delle mancanze, delle occasioni perdute, di tutto ciò che gli altri hanno vissuto mentre noi, non viventi, vivevamo?
La nostra Temporanea dimora sarebbe il “qui ed ora” o l’altrove da cui siamo riemersi?
E soprattutto, saremmo in grado di “dare la giusta proporzione alla cosa”?